Un viaggio tra i segni: riflessioni semiotiche di cultura materiale

Era il 3 agosto 2008 quando partii alla volta di Peschici, piccolo centro pugliese sito presso il Parco Nazionale del Gargano. Ero andato lì per motivi di lavoro facendo il cameriere in uno stabilimento balneare per circa un mese e mezzo.

Foto di un Trabucco

Proprio nei pressi di questo stabilimento, a pochi Kilometri dal centro abitato di Peschici, tra una pausa pomeridiana e l’altra, solevo passeggiare - assieme ad un mio collega di lavoro appassionato di preistoria - tra i resti di un importante sito neolitico (purtroppo non tutelato a dovere), soggetto ai furti di avventurieri e mercanti di frodo di beni culturali. Non sapevo nulla di quel sito. Per me fu una piacevole e quanto mai inaspettata scoperta. Erano ancora visibili i resti materiali di un insediamento preistorico che si affacciava sulla costa. Si potevano ancora osservare i fori nel terreno all’interno dei quali venivano posti dei pali in legno (pilastri per le arcaiche abitazioni). Il sito sorgeva su una costa rocciosa dove, tra l’altro, erano presenti alcuni trabucchi: tradizionali strutture in legno funzionali per l’attività della pesca e che, in un certo qual modo, risolvevano le difficoltà inerenti la morfologia della costa rocciosa, poco accessibile per qualunque pescatore. Tra i numerosi scarti litici che affioravano in superficie, oltre a schegge e manufatti in selce, era visibile ad occhio nudo una grande mole di frammenti di ossidiana. L’ossidiana è un materiale che non poteva trovarsi in quel territorio, la selce invece si. Ciò significava che alcuni gruppi umani, forse provenienti dall’odierna Sicilia o Sardegna avevano, in qualche modo, avuto relazioni con gruppi umani autoctoni. O forse sono state le stesse genti sicule o sarde che per primi hanno insediato quella parte di territorio pugliese. E’ possibile che si istaurassero solide relazioni commerciali per via marittima già in una fase precedente a quella in cui fu importata l’ossidiana. L’Adriatico infatti può essere circumnavigato mantenendo le imbarcazioni non lontane dalle coste, senza perciò spingersi troppo in mare aperto. Quest’ultimo aspetto geografico non è di secondaria importanza, in quanto poteva rispondere funzionalmente ad un tipo di imbarcazione non troppo sviluppata tecnologicamente. Indagando più a fondo, sicuramente avrei potuto dire o dedurre altro sulla vita e le vicende storiche di quei gruppi umani che hanno segnato quel sito. Potevo forse esplicitare la funzione e la valenza simbolica dei trabucchi, o individuare la significazione profonda di tali oggetti-segno, ma il mio era uno sguardo puramente superficiale e non ero lì per studiare quella parte della Puglia: necessità lavorative erano più urgenti e stringenti, tuttavia questo non mi impedì di cogliere, seppur frammentariamente, la straordinaria valenza comunicativa di quelle evidenze materiali. 

A poche centinaia di metri di distanza dal sito neolitico, ecco una piccola spiaggia sabbiosa circondata da una quasi selvaggia vegetazione: un paesaggio << primitivo >>. In questa spiaggia però, erano presenti quei segni che si possono ricondurre alla << turistizzazione >> di massa dell’uomo contemporaneo: diversi stabilimenti balneari forniti di punti di ristoro e di schiere di ombrelloni, sedie sdraio e lettini standardizzati per colore forma e marchio.

Dato che il mio soggiorno era dettato da necessità lavorative e, nella fattispecie ero stato assunto come cameriere presso uno di questi stabilimenti, la mia attenzione era rivolta prevalentemente ai prodotti tipici ed enograstronomici di quella terra straordinaria. Come non notare il tipico pane pugliese, o il particolare pregio della produzione lattiera-casearia come ad esempio il caciocavallo o la burrata? Come dimenticare le varietà tradizionali della pasta pugliese quali i cicatelli o le orecchiette? 

Oggetti di vita quotidiana, oggetti della << turistizzazione >> di massa, i cibi, le evidenze archeologiche del sito neolitico, il dialetto locale e i trabucchi, sono tutti elementi che assumono agli occhi del viaggiatore una straordinaria valenza comunicativa.

Queste evidenze materiali infatti, hanno la capacità di articolare significati specifici, possono funzionare come un linguaggio e perciò, sarebbero in grado di organizzarsi in sistemi. << Del resto, strutturalisti e semiotici a parte, l’archeologia e le scienze etno-antropologiche hanno da molto tempo dimostrato l’enorme quantità di informazioni ricavabile dagli artefatti. Essi non solo ci dicono qualcosa su se stessi e sulla loro funzione, ma veicolano anche informazioni sulla società che li ha prodotti, sul suo livello tecnologico ed economico, e perfino sulla sua organizzazione sociale e le sue credenze>>. [1]

Esiste un concetto che in questo caso sarebbe utile chiarire: la cultura materiale. In via del tutto generale, usando le parole di Giacomarra, possiamo intenderla come << il complesso di attività lavorative tradizionali cui le comunità si dedicano, gli strumenti di lavoro di cui dispongono, le connesse strutture sociali e i relativi apparati simbolici >>. [2] 

L’interesse per la cultura materiale comincia a diffondersi nell’ottocento nell’ambito dell’archeologia. Lo studio dei reperti archeologici, che fino a quel secolo avveniva in chiave estetica, d’ora in poi assumerà una dimensione più scientifica: ad essere oggetto di studio non sono soltanto i manufatti aventi un alto valore estetico ed artistico, ma soprattutto quelli di uso comune e adoperati dalla massa, cioè da gente comune come gli artigiani, i contadini, i pescatori, gli operai ecc. . In generale il concetto di cultura materiale deriva da quel movimento di pensiero che ha comuni radici in Marx ed Engels e che, venne denominato materialismo culturale. Si potrebbe dire seguendo questa scuola di pensiero che, ogni cultura si sviluppa e quindi può essere paragonata con altre su base sociale, tecnologica e ideologica. Per molti studiosi che si rifanno ad approcci simili, la tecnologia è la caratteristica fondamentale della cultura e che influenza le altre due. 

Dagli evoluzionisti, ai diffusionisti sino ad arrivare ai funzionalisti, la cultura materiale, dopo aver attraversato questi paradigmi teorici è pronta a fare il suo ingresso all’interno dell’antropologia semiotico-strutturale, non prima però che quest’ultima accogliesse almeno in parte gli approcci marxisti. La svolta marxista in antropologia degli anni 60-70 del Novecento non solo ha dato un nuovo impulso alla storia del pensiero antropologico, ma ha anche dotato gli oggetti della cultura materiale di nuovi significati. A cavallo con la guerra Vietnamita si assiste in generale ad una crisi degli approcci teoretici fino a quel momento dominanti in antropologia. La fine degli imperi coloniali e la crisi dei valori seguita ai risultati del conflitto in Vietnam, hanno messo in discussione l’approccio antropologico di sapere delle culture “marginali”. Gli approcci Marxisti che hanno determinato una svolta nella storia del pensiero antropologico riguardano in primis la graduale importanza assunta dalla storia, intesa soprattutto come storia di uomini e di donne comuni. Inoltre si è abbandonata l’idea che fare ricerca sul campo volesse dire intraprendere viaggi lontani alla scoperta di società << primitive >>. In questo modo ci si è posti il problema dello sviluppo, nonché del progresso delle società rurali o tradizionali, soprattutto in ambiti a noi vicini come ad esempio la Sicilia, o la Puglia in questo caso, ma anche nei cosiddetti paesi in via di sviluppo .

Infine l’antropologia fece autocritica abbandonando la posizione dello studio di culture dall’alto, per scopi meramente governativi e di assoggettamento: una cultura può essere compresa solo se studiata dall’interno e dal basso e non dall’alto. Si è dunque posta una forte enfasi su tematiche inerenti i conflitti, le lotte di classe e le disuguaglianze. A fronte di tutto ciò fu spianata la via verso una prospettiva semiotico-strutturale che dotò di nuovi significati gli oggetti della cultura materiale. 

In Italia negli anni del secondo dopoguerra – scrive Giacomarra -, << il diffondersi della prospettiva semiotico-strutturale investe anche lo studio della cultura materiale: già richiamato dagli evoluzionisti per definire i singoli stadi evolutivi, dai diffusionisti per individuare le aree culturali e dai funzionalisti per cogliere i rapporti tra bisogni e risposte culturali, esso viene ora ad arricchirsi di nuovi significati. […] Partendo dalla dimensione sociale, […] si introducono elementi di riflessione riguardanti i dislivelli interni di cultura presenti e operanti nelle società complesse. Sul finire degli anni Sessanta, sulla scia di Antonio Gramisci, si elaborano perciò i concetti di cultura egemonica e culture subalterne delle quali si mettono in rilievo i tratti in contrasto con riguardo sia alle rappresentazioni mentali che alla vita materiale […] >> . [3] Sotto la rinnovata veste semiotica gli oggetti materiali e quindi anche gli strumenti di lavoro diventano segni: essi sono << carichi di significati, non esprimono solo una tecnica e una funzione, ma rispondono anche a scelte d’ordine culturale; essi hanno un significato sociale, oltre che estetico, e possono essere testimoni allo stesso tempo di un sistema economico >>. [4] Prendendo le mosse da approcci marxiani o marxisti, in un ottica semiotico-strutturale, la cultura materiale viene dunque legata a una dimensione storico-sociale radicata in contesti territoriali propri.

Per concludere sulla mia esperienza trascorsa a Peschici: dall’ombrellone standardizzato dello stabilimento balneare al trabucco, dai resti di nuclei abitativi preistorici agli scarti dell’ossidiana, dal cibo tradizionale al dialetto locale, tutti questi tratti culturali assumono la capacità di informare << su quei modi di concepire il mondo e su quei rapporti tra gli uomini che non risultano da un intenzione comunicativa, ma proprio dalle utilità privilegiate attraverso certi utensili, dalle direttive d’azione connesse a certi strumenti, dai ritmi di vita, dalle gerarchizzazioni sociali impliciti in certi oggetti, dai modi di produzione implicati in certi prodotti >>. [5]

In qualunque oggetto, anche in quello più umile, può individuarsi una profonda significazione che va al di là del suo semplice uso. Adottando l’ottica semiotica gli oggetti assumo il ruolo di testimoni di un modo di produzione, di un certo sistema economico, di una certa storia, di una certa struttura sociale e, proprio per questo è possibile individuare in essi due livelli di significazione. Il primo è il livello denotativo e indica la sua funzione, ovvero la capacità di servire a qualcosa. In questo primo livello si attribuisce dunque valenza prettamente materiale. Viceversa, l’oggetto può anche assumere un valore immateriale e ciò è possibile quando ci spostiamo nel secondo livello di significazione: il livello connotativo. Qui l’oggetto-segno acquisisce capacità simbolica includendo la possibilità di comunicare qualche cosa.

Stefano Siracusa

Bibliografia.

Barnard A. 2002, Storia del pensiero antropologico, Il Mulino, Bologna.

Buttitta A. 1995, L’effimero sfavillio. Itinerari antropologici, Flaccovio, Palermo.

Giacomarra M. G. 2004, Una sociologia della cultura materiale, Sellerio, Palermo.

Giacomarra M. G. 2007, Fare Cultura in Sicilia, Ed. Sciascia, Caltanissetta-Roma.

Miceli S. 1978, Cultura materiale in Sicilia,  in Atti del I° congresso antropologico siciliano, Palermo .

Miceli S. 2005, In nome del segno, Sellerio, Palermo.


[1] Miceli S. 1978, Cultura materiale in Sicilia,  in Atti del I° congresso antropologico siciliano, Palermo, p.11.

[2] Giacomarra M. G. 2004, Una sociologia della cultura materiale, Sellerio, Palermo, p.17

[3] Giacomarra M. G. 2004, Op. cit., pp. 44-48.

[4] Idem, p.46.

[5] Miceli S. 1978, Op. cit., p.14.

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